Ho pensato di fare una fuga di una settimana durante un mese inconsueto per i vacanzieri, gennaio. Volevo abbandonare i ritmi di lavoro ripresi da poco e mai assimilati veramente. Volevo sentirmi ancora in viaggio, come fossi lontano, ma senza impiegare troppo tempo in aerei, check in e trafile varie, visto il poco tempo a disposizione e così ho scelto Marrakech e il Marocco. Prendendo i voli per tempo non si spende nemmeno tanto e il viaggio non porta via nemmeno così tanto. Così in un freddo mattino di gennaio lascio Bergamo e i suoi 2°c e in tre ore sono a Marrakech. Poco prima dell’atterraggio il colpo d’occhio è splendido, come un’enorme barriera appare all’orizzonte la catena montuosa dell’Alto Atlante, settecento km di schermo climatico che separano longitudinalmente il paese da sud ovest a nord est. Appena innevata circonda la città e la difende dai venti aridi del deserto. Ecco che inizia a vedersi distintamente la terra sotto di noi, salutati dalle palme, si scorgono le prime case della città detta “la perla rossa”. Marrakech sorge sull’altipiano Haouz a 453 m e in principio si chiamava “Al Hamra”. E’ una città sultanale millenaria dal caratteristico colore rosso come le sue mura e le facciate delle sue case. Il primo impatto che ho appena atterro è caldo. La lunga fila all’immigrazione si sbroglia in fretta e in venti minuti sono già sul piazzale dell’aeroporto. Devo raggiungere il ryad che ho prenotato da casa e ci sono molte soluzioni il taxi, il bus oppure potrei anche provare a raggiungerlo a piedi. Incontro per caso un mio vecchio collega che rientra per far visita al padre e mi carica su di un taxi, offendendosi se non lo lascio pagare, siamo nel suo paese! Scendiamo a Piazza Jeema el Fna, cuore pulsante della medina. Questa piazza (come tutta la medina) è stata costruita nel XI sec dagli Almoravidi e rimaneggiata un secolo dopo dagli Almohadi, il suo nome significa “adunata dei morti” in quanto era usanza dei sultani mettervi in mostra le teste dei ribelli ed è forse una delle più belle del Marocco, sicuramente la più originale. Nel pomeriggio e alla sera si trasforma in un teatro a cielo aperto dove giocolieri, acrobati e musicisti si esibiscono per i passanti. Ci sediamo ad un caffè, prendiamo thè marocchino alla menta e ci gustiamo la città che si sveglia con i suoi mercanti che iniziano a montare le bancarelle e ad occupare i negozi che formano infiniti dedali di vie nei souk qui attorno. Mi chiede dove risiedo e se sono in grado di arrivarci da solo. Gli mostro il foglio con la prenotazione dicendogli che ovviamente no, non so arrivarci, ma che ci proverò uguale. Ho guardato la strada -bene o male- su google ieri sera e mi ricordo dove andare, poi al peggio chiederò. Ride, sembra divertito all’idea di vedermi perso con il mio zaino a girovagare senza meta tra i souk. Mi consiglia come prima cosa di fare un numero marocchino, così al massimo posso sempre chiamare. Quando ci separiamo seguo il suo consiglio e acquisto da uno dei ragazzi in giro per la piazza un sim per 60 dhiram (circa sei euro), e con altri 40 ho 1 giga di connessione a disposizione per la settimana. Mi incammino, c’è un’effettiva difficoltà ad orientarsi, anche perché ad un primo impatto le viette si assomigliano tutte, i muri ricoperti di ogni tipo di oggetto in vendita non danno punti di orientamento riconoscibili. Ma in mezz’ora arrivo comunque al Ryad. I Padroni sono francesi, ma tutti i dipendenti di servizio sono locali. Sulla terrazza nel pomeriggio conosco Aziz. Gentile e simpatico è un ragazzo di circa 35 anni, parla quattro lingue e si districa in più discussioni contemporaneamente. Nel ryad è una specie di tuttofare. Mi da alcuni consigli di cosa posso visitare nel pomeriggio senza andare troppo lontano e di quali strade prendere all’interno del souk per girarlo comodamente. Mi segno tutto sul mio taccuino ed evidenzio le 4 o 5 vie che mi ha detto sulla cartina, in effetti pensandoci avrei anche l’aiuto di google, ma c’è più gusto così. Il clima del ryad è magnifico, rilassante. Sembra incredibile che in mezzo ad una medina caotica e piena di vita, quattro mura riescano a garantire un silenzio che viene rotto solo dal richiamo alla preghiera della moschea. Lascio la mia camera così come me l’hanno consegnata. Mi butto in strada, cartina alla mano. Appena butto uno sguardo su una bancarella vengo fermato dal negoziante che immediatamente riconosce che sono italiano, così sfodera le sue frasi migliori e poi cerca di vendermi qualsiasi cosa veda. Ma tengo duro e rifiuto. Questa è una scena che oggi si ripeterà all’infinito. Devo ricordarmi di chiedere ad Aziz come dire “no grazie” nella loro lingua, così sicuramente avrà più effetto e non insisteranno più tanto. Finalmente riesco ad arrivare nella zona dei conciatori e dei tintori delle pelli, un ragazzo mi si avvicina e con fare deciso mi fa intendere che per visitare un cortile nel quale si lavora devo pagare. Accordo con lui il prezzo è riesco a cavarmela con 80 dirham. Entro e mi prende in consegna un altro ragazzo molto più sorridente e molto più gentile, mi regala della menta mentre spiega il oro lavoro e mi mostra da una terrazza tutta la zona. Piccole vasche piene di pelli occupano tutte le corti vicine, alcune piene di colore, alcune di calce, altre ancora vuote, mentre l’odore degli escrementi dei piccioni infesta l’aria. Qui lavorano le pelli di capra, di vacca e di cammello con metodi che hanno dell’arcaico, ma si ottengono risultati pregiati che continuano a garantire profitto a chi ci lavora. Al momento di uscire chiedono altri soldi, ma rispondo di averli già dati al suo amico e vado via. Torno alla piazza Jeema el Fna dove mi siedo a mangiare un kebab mentre iniziano i preparativi per allestire quelli che tra breve diventeranno veri e propri ristoranti tipici dove si può gustare pesce alla griglia, tajine di ogni tipo, cous cous, zuppe di lumache e dolci al miele. Mi incammino verso la Koutoubia seguendo il suo minareto che domina tutta la piazza. Giro intorno alla moschea, in quanto ai non musulmani non è permesso entrare. L’edificio imponente è il più sacro di tutta la dinastia almohade e fu iniziato nel 1158, presenta i resti di diversi colonne al suo esterno che in passato furono un cortile o dei portici. All’esterno non presenta particolari decorazioni e mantiene uno stile romanico asciutto e severo. All’interno invece le guide parlano di splendenti mosaici, soprattutto nel mihrab (nicchia di preghiera) che risale al 1137. Il minareto, con una cupola alta 77m, domina tutta la medina e ha ispirato la Giralda di Siviglia e Tour Hassan di Rabat. Mi fermo un po’ nei giardini sul retro a godermi l’ultimo sole della giornata prima di tornare in piazza. Decido di rimanere ad aspettare il tramonto per scattare qualche foto e mi accomodo in uno dei caffè con terrazza ordinando un gazzosa. Con il passare del tempo i turisti aumentano a vista d’occhio, mi sa che non sono stato l’unico ad avere quest’idea! Scatto qualche foto e mi precipito nuovamente in piazza. Giro tra le bancarelle e i profumi di pietanze buonissime. Ad ogni mio sguardo corrisponde un “amico, vieni, mangia”, se fosse per loro dovrei mangiare in ogni posto. Mi lascio convincere e mi siedo finalmente, ordino un tajine di carne e verdure. In dieci minuti mi arriva questa pentola conica della grandezza di un piatto. La apro e il ben di dio è servito. Dopo cena, pago, ringrazio calorosamente i cuochi per le prelibatezze e torno verso il ryad. Alcuni negozi nelle viette sono già chiusi, mentre in altre piazze vicino a quella principale ancora c’è vita. Acquisto dei datteri giganti e della frutta secca per pochi dirham prima di rientrare e mi sistemo sulla terrazza a leggere e a godermi l’atmosfera. Sono stanco, come dopo ogni primo giorno, ma la città ha un fascino e un odore particolare, che sa di vita. Merda di animali, misto a cibo buono e spezie pregiate. Mica profuma tutta quanta la vita! Sono le 21.00 inizia l’ultimo canto giornaliero della moschea, mentre leggo un cielo stellato mi fa da soffitto e un vento freddo mi sposta le pagine, bella Marrakech.