Mi sveglio di soprassalto alle 6.00. Il canto dell’imam è così forte dai megafoni che mi sento trasalire nel letto. Apro la finestra e realizzo. Mi butto addosso due vestiti e volo in terrazza, dove è ancora buio, ma la luce del sole inizia a fare capolino a est. Prendo una coperta e torno a sdraiarmi esattamente dove ero ieri sera. Il sole spunta nel giro di due ore dall’orizzonte e riscalda tutto, me compreso. Scendo a fare a colazione, prima di prepararmi alla giornata in giro. Quando esco in strada, le viette del souk brulicano già di vita come un formicaio. Carri, carretti, asini, motorini, venditori ambulanti, mendicanti, turisti, viaggiatori, donne e bambini si mescolano in un fiume a più correnti che si districa per le piazzette e i vicoli della medina. Camminando verso la piazza si sentono già profumi di spezie e di pane. Nella grande distesa di cemento, acquisto una spremuta per 10 dirham e mi riguardo il programma di oggi che prevede la visita ai Jardin de la Menara, Palas el Badi, Palais de la Bahia tutto da farsi rigorosamente a piedi visto che è una bella giornata calda e i posti non sono troppo distanti. Dalla piazza raggiungo i giardini dietro la moschea della Koutoubia. Sulla destra prendo Avenue Bab Jedid Yussef e la seguo fino all’uscita dalle mura della medina. Attraverso la strada e mi si presenta una Marrakech totalmente nuova. Una strada immensa di almeno tre corsie per carreggiata divide in due il panorama: sulla destra palazzi moderni, hotel e casinò si ergono presuntuosi attorniati da palme altissime, sulla sinistra invece un parco recintato con ulivi non permette all’occhio di vedere oltre. Mi incammino sul marciapiede pulitissimo e in circa quaranta minuti sono ai Jardin de la Menara.
Questi giardini sono stati allestiti nel XII-XIII sec come giardino di palazzo, ma devono il suo aspetto moderno ad una ristrutturazione del XIX secolo. Occupano 90 ettari e vi crescono 8000 alberi tra ulivi e argan i cui frutti vengono spremuti dal frantoio industriale immediatamente confinante. Dalla terrazza del bacino idrico si possono vedere le montagne e dall’altre parte il minareto della Koutoubia. Passo più di un’ora a passeggiare per i giardini leggendo e rileggendo la storia dei palazzi che visiterò pomeriggio. Il caldo è impressionante, ci saranno quasi 30°c ed è gennaio. Si avvicinano due ragazzi, mi chiedono se voglio qualcosa da fumare. Ringrazio, ma no, non mi sembra il caso. Riprendo la strada verso la piazza. I motorini e bus sfrecciano accanto a me, mentre cammino comodo sul marciapiede. Rientro nella medina da porta Bab el-Jedid, taglio fuori la piazza, troppo casino a quest’ora, prendo a intuito una grossa via che mi porta fino a Place des Ferblantiers. Qui venditori ambulanti e taxi affollano il piazzale, prendo delle fragole e pezzo di croccante ai pistacchi e mi dirigo verso il Palais de la Bahia. L’ingresso costa 10 dirham e solo il giardino esterno con alberi di mandarini ed arance vale il biglietto. Costruito nel XIX sec. sotto il governo dei gran visir Si Moussa e Ba Ahmed, il palazzo si estende per 8 ettari abbondanti. Le stanze interne, decorate meravigliosamente con mosaici di maiolica, intagli, stucchi e affreschi, sono incastrate irregolarmente l’una nell’altra intorno a sfarzosi cortili a loro volta abbelliti con marmo, fontane e maioliche di ceramica. Rigiro per le stanze per circa un’ora o poco più ingurgitando ciò che avevo preso prima, fino a quando non vengo assalito di nuovo dalla fame. Mi lancio fuori e al primo baracchino mi prendo un panino con il pollo. Seduto su una panchina osservo le persone intorno a me, i taxisti indaffarati a sistemare la auto, i cocchieri che si riparano all’ombra, mentre i cavalli aspettano ordinatamente in file, madri che trascinano i bambini per un braccio, mentre nell’altra mano hanno grossi sacchetti, due poliziotti impassibili stazionano immobili di fronte ad una caserma, il tutto su questo sfondo ocra polveroso che da un’aria romantica e vitale. Fumo e controllo la strada sulla cartina, chiedo un paio di volte indicazioni e finalmente mi rimetto in marcia. Preferisco girare le città in questo modo, quando il tempo lo concede, perché mi permette di entrare più in contatto con le persone che incontro e visitare angoli nascosti che magari usando i mezzi pubblici o l’auto sarebbero impossibili da vedere, trovare quei negozi abituati a servire solo la gente del quartiere, negozianti con i quali è difficili comunicare per via delle differenze linguistiche, ma che, una volta rotto il ghiaccio, corrispondono una curiosità genuina che apre a nuove amicizie. Questo per me è viaggiare, aprirsi al nuovo e accrescere la mia cultura personale attraverso i diversi modi di vivere che osservo e con cui entro in contatto girovagando il mondo. Entro a Palais el Badhi che sono quasi le 15.00. Il clima è surreale. In un giardino di quasi 20 ettari sono visibili i resti di quel che fu una meraviglia architettonica del mondo islamico, ancora incompiuta alla morte del suo committente, il sultano Ahmed el Mansour, dopo più di vent’anni dall’inizio della costruzione. Nonostante tutto le dimensioni del bacino idrico sito nel cortile e i resti del padiglione nord-occidentale (uno dei quattro previsti) fanno intuire quale faraonico complesso sarebbe dovuto risultare e perché viene chiamato “l’incomparabile”. All’interno il tempo sembra essersi fermato, il sole di oggi e i riflessi sul bacino interno mi lasciano senza parole. Quando esco decido di concedermi un the su una terrazza in uno dei caffè di piazza Jeema el Fna per riposarmi e leggere un po’. Si fa quasi l’ora di cena e sotto di me la piazza prende vita, si accendono le luci e l’oscurità riempie il cielo di stelle. I profumi delle braci e delle zuppe impregna l’aria, scendo per cena, tornando dalla bancarella di ieri sera, mi riconosce a mi accoglie con un grosso sorriso. Tajine anche stasera, solo di verdure però. Il ragazzo che mi serve, vedendomi solo, si siede con me e parliamo un po’ della città, del suo lavoro, anzi dei suoi lavori, perché ne ha due, la sua famiglia. Speranze di serenità, buona volontà e affidamento alla propria fede sono i valori che accomunano le persone di tutto il mondo. Sembrano cose scontate, ma in una cultura che molti vedono così diversa dalla nostra, come quella islamica, alcuni vedono solo il male e ciò che li differenzia da noi. Invece a me piace andare a cercare i punti in comune, e da quelli arrivare poi a capire il perché delle differenze e quanto sono profonde. Metto piede in camera stanco ma soddisfatto di questa altra giornata. Sono già passate le 21.00 quindi niente canto stasera, solo un cielo stellato come non ne vedevo da tempo e ormai direi solito vento freddo a portarmi nel mondo dei sogni.