20 MARZO 2015 – Secondo Giorno di Cammino

Questa mattina ci siamo svegliati piuttosto tardi, ma asciutti, riposati e contenti. Mentre Paolo scalda dell’acqua per il thé, io e Michael diamo un’occhiata alla mappa per capire che giornata ci aspetta. La mappa conferma ciò la nostra bibbia privata dice. Poco prima del tempio undici, non troppo fuori dal percorso ci sono delle onsen (terme) che ospitano gli henro e fanno loro un prezzo particolare per entrare ai bagni. Favoloso. Splende anche il sole, cosa si può chiedere di più.

Ci incamminiamo e arriviamo al tempio numero sette in pochissimo. Saliamo le scale per entrare e ci separiamo. Nel giardino si trovano molte statue di Jizo – Bosatsu, così penso sia un tempio votato ai bambini e alla madri e in effetti la guida conferma che le statue sono settanta e che sono dedicate ai bambini, però a quelli abortiti. Altra particolarità, una di queste statue posta vicino al tempio principale si dice abbia il potere di curare gli occhi. Recitiamo il sutra, sotto voce, ognuno cerca di adeguarsi alla musicalità che ha sentito dagli altri henro nei giorni precedenti. Non abbiamo ancora trovato nessuno che ci abbia insegnato almeno la pronuncia. Sulla guida c’è il testo in Giapponese con sopra scritta la pronuncia in inglese, ma avere qualcuno accanto che lo ripete con te e ti permette di sentire i suoni e non solo di immaginarli nella tua testa, ti aiuta a memorizzarlo più facilmente e quindi, a leggerlo poi direttamente da te. Fatti i timbri ci rimettiamo in cammino. Lo zaino mi pesa, a dire la verità non è stato così facile prepararlo dovendo prevedere anche i venti giorni in Nepal prima del rientro a casa. Solitamente non mi metto nello zaino una giacca tecnica antivento e antipioggia e molte altre cose pesanti perché prediligo camminare nella stagione calda, ma dovendo tener conto che a giugno in Nepal è periodo di monsoni, ci siamo trovati costretti a prenotare il viaggio in Giappone da metà marzo a metà maggio, poi a Katmandu fino agli inizi di giugno e infine rientro a casa. Adesso qui è come se fosse marzo in Italia, la giacca ancora va indossata al mattino presto ed era impossibile non portarla. Se non ne potessi più, deciderò in qualche modo di abbandonare ciò che per ora non mi è servito. E se ne dovessi necessitare dopo…in qualche modo mi arriverà ciò che necessito. Come penso sia stato per la tenda alla guest house vicino al tempio 1. Quando arriviamo al tempio 8 il Kumadaniji, lascio lo zaino nel parcheggio e mi dirigo verso una specie di laghetto con al centro un piccolo tempietto con la statua del Buddah. Nessun rumore di auto o di traffico moderno, si sente solo il suono degli uccellini cantare fra i rami, gli alberi di fiori di ciliegio circondano il lago, rimango in contemplazione per un po’, fino a quando non arrivano sia Paolino che Michael, l’atmosfera è di quelle da film. Anche loro abbandonano gli zaini, mi sa che non sono il solo a sentirne il peso oggi. All’ingresso del tempio troviamo un piccolo obelisco (sarà alto non più di due metri) che riporta la scritta “possa la pace regnare sulla terra” in quattro diverse lingue, una per lato. Mani giunte davanti al cuore, inchino ed entriamo. Il silenzio è rotto dal canto di un monaco che esce da un altoparlante nascosto fra gli alberi. Saliamo le scale che portano al tempio principale e ci separiamo come al solito. Non me la sento di pronunciare sutra o altri rituali. Resto seduto su una panchina a guardarmi intorno. Qui è tutto curato nei minimi dettagli, anche se sembra di essere all’interno di un bosco. Persino il muschio sui rami degli alberi ha una forma definita e brilla di un colore bellissimo al sole. Come è possibile che ci accaniamo così tanto contro la natura invece che assecondarla e favorirne la crescita. Paolino mi tocca dentro e mi chiama verso l’uscita. Lo seguo. Ci inchiniamo, usciamo e andiamo a fare il timbro. Gli dico che ho bisogno di mangiare qualcosa di caldo, che sto risentendo solo ora del cambiamento di fuso, di tempo, di paese e di spazio. Non lo so. Mi sento debole. Mi sento spaesato.  Mi dice di stare tranquillo che adesso troveremo qualcosa, ma è ancora presto. Fatti i timbri ci mettiamo in marcia per il tempio 9. Camminiamo tra campi coltivati. Non è riso, ma è piacevole. Il sole è ancora alle nostre spalle, significa che non sono nemmeno le 12.00, le ombre lunghe e distese dritto avanti a noi. Quando siamo arriviamo al tempio Horinji abbiamo il nostro primo incontro i bus henro. Generalmente sono persone anziane che pagano fior di quattrini dei tour operator che organizzano il pellegrinaggio in pullman. Sono accompagnati da una guida spirituale che li guida durante i sutra, mentre un addetto va all’ufficio timbri a far timbrare i Nokio cho di tutti. Voi direte che non è sportivo, non è camminare, non è da pellegrino. Potrei dirvi che anche io la penso come voi. Ma in Giappone le regole sono diverse che sugli altri posti. Il pellegrinaggio si può fare con qualsiasi mezzo vogliate, auto, treno, bus, moto, bici o a piedi. Non ci sono restrizioni o impedimenti fisici. Ho visto persone molto anziane, che non avrebbero mai potuto camminare, presentarsi al tempio per pregare. La cosa che mi lascia un po’ smarrito che anche qui c’è dietro un bel giro di soldi e che fin ora le strutture per i pellegrini a piedi scarseggiano un po’. E’ ovvio che un pellegrino che arriva in bus è visto anche come portatore sano di denaro nelle casse dei templi e nelle tasche di tutte le agenzie di viaggio, delle guide turistiche e di quelle spirituali. L’ Henro che cammina ha ben poco da spendere, il suo viaggio durerà per almeno 40/45 giorni per completare il 1200 km del percorso, per cui dove può risparmiare, lo fa. Non vuole spendere 4000 Yen ogni sera per dormire. Certo ogni tanto ce lo si può concedere, ma non è la norma. L’Henro che cammina vede violate la sua voglia di pace e di tranquillità ogni volta che in un tempio trova queste masse, arrivate con i bus, che pregano tutte insieme ad un volume impressionante, ma non ci si deve far fuorviare, si deve mantenere la concentrazione e trovare il lato solenne di ciò che si sta facendo anche quando viene coperto dal lato materiale del denaro. Seguiamo insieme il rituale, non ci distanziamo nemmeno di molto ed insieme usciamo da dove siamo entrati, ci voltiamo, inchino e poi riprendiamo gli zaini e ci incamminiamo verso Kirihataji. La leggenda vuole che questo tempio sorga dove una giovane donna regalò a Kukai, monaco mendicante, un kimono nuovo dicendo lui che avrebbe voluto diventare una santa e salvare le persone. Fu così che lui esaudì il suo desiderio, infatti la giovane lasciò la casa dove viveva e si trasformò in un Senju Kannon. Una creatura illuminata dalla mille braccia, con un occhio per ogni palmo di mano, che salva gli esseri umani e aiuta a realizzare desideri. Quando arriviamo, il tempio non è così pieno come lo era il precedente e mi viene da tirare un sospiro di sollievo. Inchino, giù lo zaino, purifichiamo le mani e la bocca, incensi, sutra, timbri. Inizia a diventare schematico, non devo più pensare alla sequenza delle cose che devo fare. Mi vengono naturali. In breve siamo di nuovo in cammino, vediamo per la prima volta altri pellegrini a piedi nella nostra stessa direzione, non siamo soli! Raggiungiamo una strada principale, ad un semaforo vediamo poco distante un ristorante. E senza pensarci due volte ci infiliamo dentro. I posti sono distribuiti tra tavoli tradizionali e tatami rialzati con i tavolini bassi, dove ci si siede inginocchiati. Prendiamo posto dopo un po’ di attesa e ordiniamo tre diversi menu con riso, carne e verdure stufate. Il prezzo è più che accettabile, spendiamo qualcosa come 800 yen a testa e usciamo contenti e sazi. Prima di uscire il cuoco ha voluto uscire a conoscerci, un americano e due italiani, quando ti ricapita un trio così da barzelletta. Siamo sula strada per il tempio 11, ma oggi non ci arriveremo, dobbiamo preoccuparci di trovare un posto per dormire questa sera. Iniziamo a valutare qualche alternativa nel caso il posto vicino alle Kamonoyu non ci sia, ma per ora siamo ancora troppo vicini al fiume per trovare qualcosa che possa andare bene, qui ci sarebbe il rischio di morire divorati dagli insetti. Superiamo il fiume Yoshino-gawa e lasciamo Awa City per entrare a Yoshinogawa City. Immagino che la città prenda il nome dal fiume. Quando incrociamo la statale la imbocchiamo anche se la mappa non dice di seguirla, ma abbiamo bisogno di comprare cibo e qualcosa da bere per stasera e domani mattina. Ci fermiamo in diversi posti e recuperiamo frutta, noodles disidratati e qualche scatoletta di un non definito tipo di pesce. Arriviamo alle Kamonoyu Onsen, chiediamo se davvero esiste il posto per dormire e ci dicono di sì. La felicità si dipinge sui nostri volti a forma di sorriso quando ci dicono che c’è anche a lavatrice e l’asciugatrice. Chiediamo quanto dobbiamo pagare e ci dicono che è tutto gratis. Rimaniamo increduli di come possa essere tutto ciò gratis. Ci portano sul retro, in un parcheggio di ghiaia. Attaccata ad un lato della struttura principale c’è una piccola casetta con due stanzette con i tatami, una a destra e una a sinistra. Dentro le pareti sono ricoperte di Osamefuda di persone che sono passate da qui. Pochissimi stranieri. Tutti giapponesi. Nel centro, all’aperto coperte solo da una tettoia, vi sono il lavandino con uno specchio, una piccola lavatrice con sopra una vecchia asciugatrice e un bollitore che tiene l’acqua 90°C perenne. Laviamo tutti gli indumenti che indossiamo, asciughiamo, poi lasciamo tutto nelle due stanzette e andiamo alle Onsen (terme). Qui è molto comune andarci e non sono assolutamente come in Italia. Si è divisi tra maschi e femmine. Si entra nudi, con l’asciugamano e delle ceste che si trovano negli spogliatoi nelle quali si può portare dentro l’occorrente per fare la doccia. C’è una zona con le docce seduti su degli sgabelli bassissimi, tipicamente giapponesi, prima di accedere alle vasche. Si possono anche comprare dei piccoli asciugamani bianchi utili da mettersi in testa bagnati di acqua fredda mentre ci si rilassa nell’acqua bollente, all’aperto. C’è la sauna e spesso le vasche sono composte da pietre che favoriscono la seduta sotto piccole cascate artificiali. Su alcuni siti dicevano che i tatuaggi non sono graditi in questi posti, perché sono ricollegati alla famosa Yakuza, la mafia giapponese. Non mi hanno fatto nessun tipo di problema, anzi alcuni incuriositi mi hanno chiesto, oltre alla provenienza, anche cosa significassero i tatuaggi che porto dipinti sul corpo, senza alcun tipo di pregiudizio. Mi sono trovato benissimo e ho avuto modo di rilassarmi, dopo un’ora in questi posti si esce davvero rigenerati! Torniamo alla casetta e vediamo che ci sono altri due pellegrini giapponesi. Ci sorridiamo, inchini. Non parlano un h di inglese e allora con la nostra abilità gestuale, ci presentiamo. Ci scambiamo qualche biscotto e della frutta, mentre accendiamo le lampade frontali per avere un po’ di luce. Consumiamo la cena senza dover scaldare acqua, stasera ci va proprio di lusso. Ritiro la mia roba stesa prima di ritirami a scrivere nel sacco. Oggi è stata una giornata incredibile penso fra me e me. Come siano possibile così tanti contrasti non me ne riesco ancora a capacitare. La solennità dei templi e il loro lato materiale, i negozi di souvenir, i tour operator che organizzano i pellegrinaggi. Come può una fede diventare un businnes? Beh di certo non colpevolizzo loro quando in posti come Medjugorie e Fatima è successo anche di peggio. Adesso non crediate che io sia un credente accanito. Diciamo che vorrei vederci chiaro. No, non voglio spiegare le religioni. Non ne sarei in grado come prima cosa e non mi sentirei nemmeno di poter esprimere giudizi in merito. Ciò che vorrei capire è il perché l’uomo, l’essere umano, ha da sempre avuto bisogno di dare una spiegazione a quella forza superiore che avverte intorno e dentro di se. Per questo sono nate le prime religioni. All’inizio si pregava il sole e altre divinità pagane. In seguito sono queste state personificate e sono diventate degli dei. Poi Sono nate le grandi religioni. C’è chi crede in unico grande dio e nei profeti che egli mandò o manderà per salvare questo mondo. C’è chi crede ancora in molteplici divinità dalle differenti funzioni e dai diversi poteri. C’è chi crede che un primo essere tra tutti, raggiunta l’illuminazione, sia uscito dal ciclo delle reincarnazioni per sempre. C’è chi crede nel paradiso e nell’inferno. Chi crede che mangiare carne di maiale sia peccato. Chi crede che lo sia mangiare quella di mucca. C’è chi porta lo shador, chi la tikka e chi la kippa. Chi fa il segno della croce. Chi prega inginocchiato verso la città santa. Chi cammina intorno ad uno stupa. Ci sono le chiese, le moschee, i templi e ci sono gli altari. Ognuno ha scelto la propria strada. Ma in cuor mio credo che quella forza a cui ci si rivolge durante la preghiera, sia la stessa per tutti. Infine credo che tutte le guerre che i media continuano a dipingere come guerre di religione, siano in realtà operazioni mosse da interessi ben diversi. Politici, economici, non lo so. Ma non c’è religione al mondo che predichi la morte, di questo ne sono certo.

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