Giordania. Giorno 3 – I piani sono fatti per essere cambiati

Oggi è stata una gran giornata. Piena di storia, nuovi incontri e di nuovi sapori. Questo viaggio mi sta permettendo di scoprire un nuovo me stesso, mi sta ridando la forza di credere nelle mie possibilità. Ma andiamo con ordine. Prima di partire ero convinto che avrei passato molto tempo da solo, che avrei incontrato tante coppiette, perchè ho sempre pensato che questo paese fosse la meta ideale per i viaggi di nozze. Gli alberghi di lusso ad Amman si sprecano, ogni cosa è al suo posto per chi vuole venire e spendere per rimanere isolato dal resto del mondo. Invece anche oggi ho avuto la conferma che ci sono tantissime persone che sono qui sole e che hanno sempre sognato di farlo. Il programma della giornata era di andare a visitare il nord del paese. Sì esatto, proprio quella fetta di Giordania che confina con la tanto temuta Siria. Ieri sera mi sono lasciato convincere e, invece dell’autostop, mi sono aggiunto ad un gruppo in partenza con un mini van per un giro di un giorno tra Um Qays, il castello Ajlun e Jerash. Dopo la colazione sono sceso e già tutti mi aspettavano, strano Davide che tu sia in ritardo. Salgo sul van e prendo il posto in prima fila accanto a Khaled un ragazzo giordano che sarà il nostro autista. Mi presento e conosco i miei compagni di oggi: Nicolas dal Belgio, Jay da Pechino, Eli da Girona e Jana da Chicago. Partiamo ed andiamo a recuperare Giovanna che dorme in un albergo non troppo distante dall’ostello. Mentre siamo in viaggio Khaled ci spiega cosa vedremo oggi, anche se lo so già lo ascolto con piacere, la prima destinazione sarà la più lontana, cioè Um Qays. In questa piccola città c’è uno dei siti archeologici più importanti del paese, con molti resti romani e un punto panoramico dal quale si può vedere il famoso mare di Galilea o Lago Tiberiade. Giunti sul posto, sempre grazie al Jordan Pass, non pago l’ingresso e poi mi perdo nel sito. Dei ragazzini incuriositi dai miei tatuaggi mi fermano e intanto ridono come dei matti. Beh sono contagiosi e mi unisco a loro per fare qualche foto, poi mi rimetto in cammino lungo il decumano massimo ancora ben conservato. Anche qui un anfiteatro attira la mia attenzione. Non è conservato al meglio, come quello di Amman, ma esercita comunque il suo fascino. Mi arrampico fino all’ultima fila per scattare le solite foto di rito e guardare l’orizzonte. Oggi splende un bel sole, ma anche il vento non scherza, tiro fuori la giacca e la indosso, fumo mentre vedo passare gli altri che mi richiamano perchè dobbiamo muoverci verso Ajlun. Prima di risalire mi fermo a chiedere se vendono le sigarette ad un chiosco appena fuori dall’ingresso, tra vari sorrisi e poche parole in inglese capisco che costano quasi il doppio rispetto ad Amman solo perchè è un posto molto turistico. Ovviamente rinuncio all’acquisto e mentre raggiungo il van iniziano nella mia testa, come una tempesta, i paragoni con l’Italia. Ci rimettiamo in viaggio ed inizio a conoscere più a fondo i miei compagni improvvisati di oggi, Eli è una ragazza di 40 anni, con due figlie e un marito che l’aspettano a casa, che ogni tanto si concede un viaggio in solitaria esattamente come faceva 15 anni fa prima di sposarsi. Jay è un sigore di 50 anni, ma che in relatà ne dimostra meno di 40, ha viaggiato molto per lavoro, ma ora è qui per una vacanza. Nicolas ha la mia età, ma il suo modo di vestire moto elegante e la sua tranquillità lo fanno sembrare più anziano. Jana ha 36 anni ed è  contentissima di non essere la più vecchia del grruppo, come invece  le accade di solito. Si sorride e si scherza, Khaled è molto simpatico e intrattiene il gruppo. La giornata scorre veloce. In breve siamo ad Ajlun, o almeno così  mi  sembra perchè ogni tanto mi addormento. Come succedeva sulla Francigena scrivo sempre in tarda serata, dormo ben poco la notte e questo è il risultato. Nel piazzale dove ci controllano i biglietti faccio amicizia con dei signori dell’Arabia Saudita. Anche qui foto insieme, risate e inviti. “Vieni David, vieni a trovarci, viviamo poco fuori La Mecca” “Amico mio, non dirlo due volte o guardo già i voli”. E ancora giù risate su risate. Oggi ci sono molti turisti locali, molte ragazze con l’hijab e gli accompagnatori. Quando passo per le stanze del castello con Giovanna i sorrisi e i saluti in inglese e in arabo si sprecano. Il panorama dalla torre più alta è incantevole, ma il punto migliore dove fare le foto è preso d’assalto così desisto. Facciamo ritorno al piazzale e incontriamo Anna e Irene le due ragazze dell’aeroporto accompagnate da Jafar, un loro amico del posto. Ci accordiamo di modo da organizzare lo spostamento a Petra per mercoledì e giovedì, le saluto con la promessa che mi farò vivo io. Riprendiamo la strada verso Jerash e prima di arrivare facciamo una sosta per un panino con i falafel. Arriviamo a Jerash che sono già le 15.30, Khaled ci dice che abbiamo tempo fino alle 18.00. Entriamo nel sito romano più grosso e meglio conservato di tutta la Giordania. Perdo immediatamente tutti e mi ritrovo a vagare da solo tra queste immense colonne che ancora resistono al tempo e formano questa magnifica piazza. Poi ritrovo Nicolas. Mentre ci aggiriamo tra chiese di epoca bizantina e templi romani mi dice di essere un prof di storia alle superiori, appassionato dell’epoca romana e greca. Ma che fortuna penso tra me e me, non poteva andarmi meglio. Mi incollo letteralmente a lui che mentre camminiamo mi traduce dal greco antico le iscrizioni che vediamo sulle strutture. Sono scioccato e meravigliato allo stesso tempo. Tra una spiegazione e una foto arrivano le 17.00. Decidiamo di spostarci verso l’ultima parte del sito, frose la migliore, il tempio dedicato a Zeus, ai quali piedi sorge un altro anfiteatro. Qui vi troviamo tre signori che suonano con tamburi e una cornamusa e tante ragazzine che ballano loro attoro. Rimango così rapito dalla scena che lì per lì quasi mi commuovo, il sole inizia a scendere verso ovest e tutto il sito si riempie di una luce magica. Scatto delle foto dal punto più alto di tutti, mentre mi asciugo gli occhi, non mi va di far sapere a chi mi conosce da meno di 12 ore quanto mi possano colpire cose del genere. Mentre rientriamo si parla già di domani, di cenare e delle bellezze che abbiamo visto di oggi, ma ho troppo sonno e mi addormento di nuovo. Mi sveglio poco prima di arrivare, ma sono letteralmente in coma, non riesco nemmeno a formulare delle frasi compiute. Chiedo scusa a tutti e mi lancio sul divano dell’ostello in attesa di andare a cenare. Prima di partire avevo pianificato di fare l’autostop, di vivere questa eserienza da solo, ma in realtà da quando sono partito non sono rimasto solo nemmeno per un’ora. Anche oggi ho camminato, ho riso, ho imparato, ho ballato e ho pianto. E con me hanno riso, hanno camminato, mi hanno insegnato e hanno ballato. Ma come si fa poi a volere una vita tutta pianificata, senza il minimo imprevisto o senza la capacità di rinnovarsi ogni volta che qualcosa finisce? Eh? Come si fa? Preferisco fare dei piani per darmi una direzione da seguire e poi però sapere che quando è il momento, quei piani, li posso sempre accantonare e lasciare che a vita intorno a me accada senza forzare mai le cose.

Cosa si può volere di più?

Un abbraccio.

D.

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