Saluto Aziz dopo la meravigliosa colazione che anche questa mattina mi ha preparato. “Chokran amico mio, se per caso passi per Milano, fatti sentire, i miei contatti li hai”. Quando esco in strada è tutto ancora buio, pochissime persone per i viottoli della medina, le botteghe e i negozi sono ancora tutti sprangati, non sono nemmeno le 5.30. Appena arrivo in piazza Jeema el Fna la situazione è un po’ diversa, taxisti e spazzini la occupano per intero, mentre alcuni cocchieri iniziano ad arrivare con le loro carrozze. Mi butto sul primo taxi, non senza prima aver contrattato il prezzo fino alla stazione dei bus, ormai mi è chiaro come funziona. Il panorama dai finestrini è mozzafiato. Una linea orizzontale di luce penetra dalle tenebre a est e fa da sfondo alla città ancora con lampioni e finestre accese. Scendo al piazzale e prendo il biglietto per Essaouira e, una volta al bar, mi accorgo di non avere sigarette. Per fortuna proprio qui fuori, il parcheggiatore (?) vende sigarette sfuse. Ne prendo tre per 20 dhiram e mi sistemo ad aspettare il bus. Arriva puntuale e in 10 minuti si carica una decina di persone e i relativi bagagli. Il sole non è ancora sorto, ma c’è già luce. Donne con il velo, giovani ragazze in jeans e un gruppetto di ragazzi sui vent’anni sono le persone in viaggio questa mattina, nessuno straniero, sono l’unico. Appena usciti dalla città il bus corre su una lingua asfaltata che separa in due un deserto di terra bruciata. Attraversiamo piccoli gruppi di case, le strade al di fuori della principale che percorriamo sono sterrate, ogni tanto troviamo un pastore in cammino con le capre oltre la recinzione che delimita la carreggiata. Dopo circa un’ora abbondante di viaggio facciamo sosta in una paese che sembra essere fantasma. Si aggrappa letteralmente intorno alla strada principale, le vie laterali perpendicolari a questa finiscono nel nulla più assoluto, case in costruzione e altre vuote sembra aspettino una vita che riempia da un pezzo. Come mi è capitato in Nepal, la sosta è organizzata. Un piazzale all’entrata del paese proprio di fronte a due grossi bar che si spartiscono i clienti. Sicuro che la compagnia che organizza i viaggi avrà qualche tornaconto da questo, ma d’altronde si chiama economia. Quando ripartiamo il sole inizia a scaldare tutto. Controllando sulla guida capisco che abbiamo appena lasciato Chichaoua e lo capisco anche dal fatto che abbiamo incrociato anche un’altra grossa strada asfaltata che attraversa nord sud la piccola città. Più ci avviciniamo all’oceano, più la vegetazione ricompare. Quando il lontananza vediamo Essauoira, gli alberi e gli arbusti formano una fitta macchia di vegetazione verdissima e intricata. Scendo nella piazza di fronte alle mura che circondano la città, l’odore dell’aria di mare mi investe, il calore è già quasi diventato insopportabile, rido fra me e me pensando che è gennaio e che a Milano si muore di freddo. Chiedo un paio di informazioni e recupero una cartina della città, adoro le mappe, anche quando non mi servono. Entro nella medina e cammino per il souk, le mura sono dipinte di blu e bianco, anche qui come a Marrakech botteghe e negozi si ammassano l’uno sull’altro, nei viottoli che circondano Avenue de l’Istiqlal, la via principale della città vecchia. Sui muri di alcuni negozi e di alcuni bar campeggiano le foto e dipinti di Bob Marley o Jimi Hendrix. Dagli anni 70 si tiene un festival di musica Gnauoa (e delle musiche del mondo) al quale anche i due famosi artisti hanno partecipato. Si respira ancora un po’ di quell’atmosfera di libertà nel vedere i colori e le immagini che riportano a quegli anni, inserite in questo contesto assumono un fascino ancora più particolare. Dopo circa mezz’oretta trovo il mio ostello e butto le mie cose in camerata. Come tutti gli ostelli per backpackers anche qui il clima anni 70 continua. All’entrata è una ragazza europea ad accogliermi, quando scendo un ragazzo marocchino mi indica l’ostello alla porta di fronte a quella del nostro e mi spiega in perfetto inglese che si possono utilizzare le terrazze di entrambi gli ostelli, mi saluta in italiano prima di andarsene. Voglio fare colazione, così mi metto in cammino. In sostanza mi perdo nel souk in meno di dieci minuti e mi ritrovo all’interno di una corte dove c’è un bar al piano superiore. Mentre faccio colazione con del pane tostato, miele e una marmellata dolcissima, un gatto mi si strofina sulla gambe, il sole mi costringe a mettermi in maglietta. Essaouira ha la capacità di rallentare le cose, i ritmi della vita, il passare delle ore. Vive di una lentezza e di una di una calma impressionante. Mi muovo verso il porto, chiedendo informazioni qua e là nei vari negozi. I commercianti sono molto più tranquilli e non sono così accaniti come a Marrakech, non sembra esserci questo sfrenato bisogno di venderti qualcosa, sono più aperti. Lo raggiungo è dopo aver attraversato una grossa piazza mi appare questo piccolo porto brulicante di umani e gabbiani che si combattono il pesce sistemato sulle bancarelle dai pescatori rientrati dalla pesca notturna. Le barche blu di legno si ammassano in un moto perpetuo, alternandosi per forma e grandezza, e il loro cigolio ripota indietro nel tempo. Il fiume di persone che va e che torna con un sacchetto carico di pesce passa indifferente difronte ai pescatori appartati ai lati del molo. Mi arrampico sul molo e da sopra osservo questa scena di vita quotidiana che sembra uscita da un vecchio film. Due giovani fumano una pipa per kif riparati in un angolo, intanto sul bordo della strada un pescatore contratta il prezzo con una signora che indica un grosso pesce senza la testa disteso su un telo per terra, due vecchi preparano caffè da una vecchia caffettiera araba tutta scrostata e i gabbiani zampettano intorno a me attenti a non lasciarsi sfuggire nemmeno un’occasione per recuperare qualcosa da mangiare. Respiro la vita e mi chiedo lungo quale strada abbiamo perso tanti di questi lati umani che qui vedo concentrati in poche centinaia di metri. Torno verso la città e cammino tra pesci di tutti i tipi, sul finire del molo altri pescatori ripiegano le reti e riempiono cassette di ghiaccio. Sembra di essere tornati indietro di anni. Appena fuori dal molo faccio amicizia con uno dei ragazzi che ti cercano di invitare a mangiare in uno dei ristoranti allestiti sulla piazza prima della città. Parliamo un po’ inglese, un po’ italiano. Mi racconta un po’ di lui e alla fine va che mi metto a pranzare con dell’ottimo pesce e birra mentre parliamo. La sua storia è legata alla città, l’oceano e agli orari che una vita sulle sue sponde comporta. Non è mai uscito dal Marocco, mi chiede dell’Italia, delle cose che vede in tv. Gli dico di non credere che ci sia qualcosa di meglio, là in Itaia. Sì forse girano più soldi, ma c’è anche molto meno tempo a disposizione e tranquillità. Pago il conto e gli lascio una piccola mancia, per quello che posso. Lo saluto, ma prima mi faccio spiegare come arrivare in spiaggia perchè ho intenzione di passare tutto il pomeriggio a dormire.