15 MARZO 2015 – Il cammino degli 88 templi – Henro No Michi

Di colpo apro gli occhi. Non riconosco subito la stanza. “Dove sono?” mi chiedo. Mi rigiro confuso, non riconosco nemmeno le coperte. Intravedo il mio zaino, in un angolo, nella penombra grazie a un filo di luce che penetra dalla tapparella, già riempito per metà, adesivi sul muro accanto al letto mi riportano alla realtà “sono a casa dei mei genitori!” esclamo nella mia mente. Mi alzo e nel buio della stanza sento i rintocchi delle campane “uno, due, tre, quattro…sono già le quattro?”. Cerco di arrivare alla finestra per alzare la tapparella, ma sento la testa girare e in bocca ho un sapore amaro. Ieri sera non avrei mai dovuto dire sì a chi mi ha proposto di andare al Leoncavallo per sentire DJ Aphrodite, sapevo che sarebbe finita così, ma dopotutto non vedevo i miei amici da quattro mesi, mi sono voluto concedere una serata con loro dopo tanto. Da quando sono rientrato in Italia però, non mi sono ancora abituato alle cose che mi hanno sempre circondato, sono come “nuovo” a molti aspetti che prima mi appartenevano. Solo guidare, dopo quasi 5 mesi senza aver mai utilizzato un’automobile, mi sembra una cosa del tutto strana. Finalmente luce! Appena apro la porta della camera sento già la voce di mia madre che mi ricorda l’ora e che mi porge un caffè “Sono le quattro passate, eccoti uno dei tuoi ultimi caffè”. Ultimi caffè? Ci rifletto su un po’ e la cosa non mi dispiace affatto. Domani mattina si parte per l’ennesimo cammino, ma questa volta è diverso dagli altri, il paese, la lingua, il cibo, insomma tutto sarà completamente diverso da ciò che fino ad ora ho potuto sperimentare. Domani si parte il per il Giappone, più precisamente volo per Osaka, per raggiungere poi Naruto, dove incontrerò Paolino e, dopo una notte, partiremo per questo Cammino detto degli 88 templi. Sfoglio le carte che mi sono stampato da internet nelle scorse settimane, i possibili alloggi gratuiti, le alternative meno ortodosse, i consigli per la prima notte a Naruto, poi mi soffermo a rileggere un po’ la storia di questo pellegrinaggio e del suo fondatore, Kobo Daishi, figura nevralgica del Buddhismo Shingon.

Kobo Daishi

Nasceva in una ricca famiglia in decadimento nel 774 nella prefettura di Kagawa, dove ora sorge il tempio Zentsuji (nr 75), in un Giappone sotto il dominio del Clan dei Fujiwara, uno dei periodi in cui la nazione nipponica aveva raggiunto il massimo sviluppo dell’amministrazione di stampo cinese. Il nome che gli diedero il genitori fu Saeki no Mao (Mao della famiglia Saeki). Negli anni in cui la capitale venne spostata da Nara a Nagaoka e poi a Kyoto, studiò Cinese classico e il confucianesimo. Si iscrisse all’Università di Nara per cercare di diventare un burocrate, risollevando così le sorti della sua famiglia. Ma conobbe un monaco che lo iniziò alla pratica esoterica del Mantra di Kokūzō (Akashagarbha) e del Gumonji Hō, una pratica meditativa della stella del mattino incentrata sul mantra al bodhisattva Kokūzō. Così iniziò a interessarsi di letteratura Buddhista Mahayana, accanto agli studi normali, ma ciò che lo interessava di più non erano le letture, quanto l’esperienza profonda della meditazione. Si ritirò sull’isola per completare la pratica del Gumonji Ho che prevede 10.000 recitazioni del mantra al giorno, per 100 giorni e al suo rientro alla vita normale, contro l’opinione della famiglia, lasciò gli studi e divenne un monaco itinerante, devoto alla pratica ascetica della meditazione. Nel 797 si espresse sulla superiorità del Buddhismo nei confronti del Taoismo e del Confucianesimo. Visitò forse per la prima volta il monte Koya, si allenò nella meditazione al tempio al monte Tairyuji (il numero 21) e nella grotta a Capo Muroto, dove raggiunse l’illuminazione. Dopo questa esperienza si dice abbia preso il nome Kukay (Ku: cielo, Kai: oceano), perché durante la meditazione si crede abbia raggiunto il punto deve cielo e oceano si incontrano, e che abbia deciso di donare la sua intera esistenza a tutto il genere umano. Nell’ anno 804, riconosciuto dall’imperatore Kammu come persona di valore morale e spirituale, partì insieme ad una spedizione per la Cina con la promessa di rimanerci venti anni per studiare il Buddhismo. Imparò il sanscrito e diventò studente del maestro e patriarca della setta Shingon Keika (Hui-Kuo). Passato un anno, quando Keika fu in punto di morte, Kukai fu riconosciuto il prescelto per indossare la massima carica con la promessa di predicare questa religione ai giapponesi. Cosicché dopo soli due anni rientrò in Giappone nei panni dell’8° Patriarca del Buddhismo Shingon. L’imperatore non fu affatto felice di vederlo. Credendo che Kukai avesse rotto la promessa lo confinò a Dazaifu a Kyushu e un anno più tardi a Makino’o-sanji sul monte Makino’o dove il monaco iniziò i suoi insegnamenti. Nel 809 con l’appoggio dell’imperatore Saga, Kukai si stabilì al tempio Takaosanji (poi conosciuto come Jingoji), a Kyoto. Dopo le iniziali difficoltà, nel 812, riprese a divulgare questa nuova religione e introdusse scuole di calligrafia e i sillabari kana (con i quali ancora si parla in Giappone). Diventò il capo amministrativo di Todaiji nel distretto di Nara per tre anni e, dopo aver ottenuto dall’imperatore il permesso di utilizzare il monte Koya, lo rese sacro con la consacrazione formale nell’anno 815. Da questi anni in poi fece ristrutturare molti templi ed erigerne altri, sempre in posizione ritirata, immersi nella natura, dove un monaco può avere la tranquillità e la pace per ritirarsi in meditazione. Scrisse diversi testi per spiegare gli insegnamenti e fece sì che venissero tramandati nei tempi. Divenne capo della ricostruzione del tempio Toji a Kyoto, dove poi si stabilì. L’ultimo sforzo di questo uomo (828 d.c.) capace di cambiare per sempre un paese fu quello aprire una scuola di Arti e Scienze a Kyoto (Shugei shuchi-in) aperta a tutti, senza distinzione di classe sociale o condizione economica. Nel 835 si ritirò al monte Koya in meditazione eterna e dopo aver predetto la data della sua morte, il 23 aprile, morì. Il suo mausoleo è posto dietro al tempio principale al monte Koya. Nel 921 l’imperatore Daigo gli assegna il nome onorario di Solenne Kobo Daishi. Il gran Maestro (Daishi) del Vasto Dharma (Kobo). Certo che andare incontro ad una storia così mi mette un po’ di soggezione, ma devo prenderla come uno spunto per cercare di capire a pieno le realtà che mi si presenteranno sulla strada. Mi avrebbe fatto certamente sapere qualcosa di più sul Giappone dell’epoca, per coglierne i cambiamenti e cosa invece è rimasto intatto fino ai nostri giorni. Metto tutto nella sacca superiore dello zaino insieme all’ e-reader, sono sicuro che domani sull’aereo mi faranno un gran comodo per passare il tempo. Trangugio il caffè che nel frattempo mia madre aveva appoggiato sulla scrivania, accanto al passaporto; mi vesto e mentre fumo una sigaretta controllo che tutte le scartoffie burocratiche siano ok, la mail con la prenotazione del volo di andata, il finto nome dell’hotel dove non ho una prenotazione, già avete capito bene, dove NON HO una prenotazione. Tutto questo perché in Giappone un europeo può avere il visto on arrival/all’arrivo della durata di tre mesi, ma sul foglietto che consegnano sull’aereo prima di atterrare deve indicare un indirizzo dove alloggerà, quindi non è previsto che si possa cercare un posto solo una volta dopo atterrati, almeno secondo loro. E’ sufficiente segnarsi il nome e l’indirizzo di un hotel nella città di arrivo, preferibilmente di uno economico, nel caso dovessero scoprire che la prenotazione è inesistente.  Infine mi sono stampato per sicurezza anche la mail con le prenotazioni per il due voli che mi condurranno a casa, con una sosta di una ventina di giorni a Kathmandu, in Nepal. Chiudo lo Zaino. Non ci penso più. Quello che dovevo fare lo ho fatto. A breve passerà di qui un mio amico a recuperami per un aperitivo insieme e che io sia pronto o no, domani c’è il volo e non ci sono altre cose a cui pensare, se non alla libertà che da domani sconvolgerà la mia vita quotidiana, sarò con Paolino, vagabondo in un paese straniero. La cosa mi fa andare davvero su di giri, una lingua diversa, una cucina diversa, chissà come prenderanno la nostra presenza sulle loro strade. DRIIIINNN DRRIIIIIIIIIINNN. “ Davide c’è Claudio!!” “Arrivo, scendo subito”. Chiudo la zip della tasca superiore, sul serio ora, si esce.

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